Più di 3000 anni fa una popolazione nomade di stirpe Inuit migrò dalla Siberia orientale e dopo aver attraversato lo Stretto di Bering si stabilì nel Nord Ovest dell’Alaska, in una zona denominata Kotzebue. A questa popolazione, che non era di origine Esquimese, appartenevano alcune tribù che definivano sé stesse come Mahlemiut. In lingua Inuit “miut” significa “popolo”, mentre è controverso il significato di “mahle”.
Si tratta probabilmente del nome di un luogo e quindi il significato più comunemente attribuito al termine è “popolo di Mahle” o “proveniente da Mahle”.
I Mahlemuit erano nomadi e vivevano principalmente di caccia; abitavano in igloo di pelle o costruiti con rami, sterpaglie e terra.
Come ausiliari per la caccia e per il trasporto dei grossi animali cacciati, quali l’orso polare o il caribù, si servivano di grossi cani che vivevano spesso anche all’interno degli igloo ed erano frequentemente compagni di giochi dei bambini, oltre che ottimi cuscini per riscaldare.
Questi cani erano dotati di mantelli particolarmente folti e con rivestimenti spessi alle piante dei piedi, per poter resistere al clima aspro dell'Alaska e viaggiare attraverso i ghiacci a temperature estreme per grandi distanze. Erano in grado di accerchiare in branco l’orso bianco polare e di attaccarlo, impegnandolo fino all’arrivo dei cacciatori; erano poi utilizzati sia per trainare le slitte che per trasportare dei fardelli sul dorso. I cani dei Mahlemiut erano abbastanza diversi dal Malamute come lo conosciamo oggi; erano infatti soggetti che potevano arrivare a quasi 80 cm di altezza e 80 kg di peso.
La selezione di questi cani era fatta in funzione delle attività che essi dovevano svolgere, quindi era necessario che fossero coraggiosi, forti e fidati. Data la loro frequentazione dell’interno degli igloo, i cani che dimostravano anche la minima aggressività verso gli umani venivano senz’altro soppressi.
I Mahlemiut ebbero pochi contatti con le altre popolazioni dell’Alaska e non si mescolarono mai con esse; così anche i loro cani conservarono sempre caratteristiche di “purezza”. Inoltre i Mahlemiut non vendevano i loro cani, perché li consideravano membri della famiglia, e questo permise ulteriormente di preservare la razza.
L’Alaskan Malamute è quindi una razza antichissima, che conserva forti caratteristiche di primitività. Con la corsa all’oro di fine ‘800 vennero sconvolti gli equilibri naturali e i Mahlemiut si trovarono in difficoltà per la notevole diminuzione della selvaggina. Le mutate condizioni di vita decimarono la popolazione e di conseguenza i cani. Quelli sopravvissuti vennero in parte venduti e gli incroci sbagliati operati nel tentativo di ottenere cani più adatti all’uso che ne facevano i cercatori d’oro portò quasi all’estinzione della razza. Fortunatamente alcuni “musher” (guidatori di slitte) recuperarono alcuni esemplari “originali” e riuscirono a recuperare la razza. Non è chiaro se la motivazione iniziale fosse semplicemente quella di ottenere dei cani adatti al tipo di lavoro che i musher svolgevano o se ci fosse veramente l’intenzione di recuperare la razza; quello che è importante è che essi salvarono dall’estinzione una razza meravigliosa.
Uno dei primi ad operare questa selezione ed ottenere soggetti omogenei fu Arthur Walden, dopo la fine della prima guerra mondiale. Successivamente Walden si dedicò maggiormente alla preparazione di cani per le spedizioni antartiche e il suo allevamento venne rilevato e portato avanti da Eva “Short” Seeley, una insegnante di educazione fisica che si era talmente appassionata a questi cani da dedicarsi esclusivamente a loro, assieme al marito. Eva Seeley creò una linea di cani che fu denominata Kotzebue. Fu per merito della sua tenacia che l’Alaskan Malamute venne riconosciuto dall’AKC nel 1935 e di fatto lo standard descriveva un Kotzebue.Contemporaneamente altri allevatori avevano lavorato creando altre linee. Il più importante fu Paul Volker, che diede vita alla linea M’Loot. Una terza linea, considerata minore ma che ebbe in realtà una grande importanza nella successiva evoluzione, venne denominata Hinman-Irwin, dai nomi di Dick Hinman e Dave Irwin, che maggiormente contribuirono a svilupparla. Ovviamente gli allevatori citati non furono i soli ad apportare il loro contributo allo sviluppo della razza.I cani delle due linee principali erano piuttosto diversi tra loro. I Kotzebue avevano una bellissima testa, ma erano di statura più bassa e di un unico colore, il grigio lupo. Gli M’Loot erano più alti ma avevano toraci più stretti, orecchie lunghe e musi affilati; le angolature posteriori erano meno accentuate e quindi l’andatura era meno sciolta. Gli M’Loot avevano una grande varietà di colori, compreso il rosso. Il carattere dei Kotzebue era più dolce e più facile da controllare, mentre gli M’Loot tendevano ad essere più aggressivi con gli altri cani e spesso difficili da gestire.
Per un lungo periodo le tre linee procedettero su binari paralleli, anche con notevoli scontri ideologici tra gli appartenenti alle varie fazioni, finché agli inizi degli anni cinquanta Robert “Bob” Zoller, un ex ufficiale di marina, si innamorò degli Hinman-Irwin e partendo da questa linea, ma lavorando anche con molti soggetti delle altre linee, diede di fatto vita all’Alaskan Malamute come noi lo conosciamo oggi.
In Europa la razza rimase sconosciuta praticamente fino alla metà degli anni ’50, quando ci furono le prime importazioni. Un reale interesse si manifestò a partire dagli anni ’60, soprattutto dopo che la FCI riconobbe la razza nel 1963, codificandone lo standard.
In Italia le prime importazioni avvennero tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80. Da allora, per merito di allevatori che si impegnarono molto e coscienziosamente nella selezione e che continuano a farlo tuttora, la razza ha cominciato ad essere sempre più conosciuta.
Le caratteristiche di imponenza e maestosità fisica del Malamute, unite ad un carattere dolce e amichevole, hanno poi contribuito a far sì che la razza, man mano che veniva conosciuta, trovasse sempre più estimatori.
Maurizio Pizzolato