Articolo a cura di Dorina Serale e Roberto Fanchini, allevatori e intestatari dell'affisso Il Fiuto dei Laghi, riconosciuto ENCI/FCI
Il Cane di Sant’Uberto o Bloodhound, con il suo incedere a passo balzonellante, la faccia da cane mite e un po’ triste, le rughe che gli cadono ogni volta che abbassa la testa e le orecchie sempre a rischio di essere calpestate dalle sue stesse zampe, è per i più un cane docile e tranquillo impegnato più a trovare un posto confortevole dove stendersi che a condurre una qualsiasi attività. Si dimenticano invece le sue origini che sono rimaste nei suoi geni più di quanto possiamo immaginare. Il cane di Sant’Uberto è un segugio, anzi il capostipite di tutti i segugi, selezionato per la caccia ai grossi ungulati. Questa sua peculiarità è pronta ad emergere in ogni momento, basta portarlo in campagna per vederlo interessato a reperire ogni usta di un animale selvatico. Ecco allora che la sua falsa indolenza si trasforma in una bramosia di ricerca e lo sanno coloro che lasciano libero il cane nei boschi o in montagna, il cane segue la traccia sordo a ogni richiamo, tanto da far perdere le proprie tracce per ore se non per giorni.
Il Bloodhound è quindi un segugio da caccia per buona pace di chi questa natura la nega. Ed è proprio grazie a questa sua innata predisposizione che eccelle anche nella ricerca delle persone (mantrailing), che in fondo non è altro che una caccia all’uomo, solo che la conclusione, se ben addestrato, non prevede l’uccisione e l’addentamento della preda. Fatta questa dovuta premessa vediamo come un Sant’Uberto si comporta nella caccia vera e propria. E’ innanzitutto un cane dall’olfatto finissimo capace di recepire l’odore dell’animale selvatico a distanza di molte ore e di seguirlo fino allo scovo. Durante questa fase abbaia alla traccia con più veemenza a seconda dell’invecchiamento della passata.
Al momento dell’incontro se la preda non intende uscire dal nascondiglio è un ottimo abbaiatore a fermo e lo fa cambiando il tono della voce. Il più delle volte la voce potente induce il selvatico a fuggire ed è a questo punto che il cane da il meglio di sé: comincia un inseguimento incessante trasformando il precedente abbaio in rombante canizza udibile a molta distanza, una vera musica, mi si perdoni il paragone, simile ad un’opera cantata da uno splendido baritono. Naturalmente il meglio nella caccia alla grossa selvaggina lo da in muta più che in singolo, e queste mute se ben addestrate e condotte sono un esempio di come il Bloodhound sia portato a formare gruppi strutturalmente composti con tanto di capo muta e subalterni disposti in una precisa scala gerarchica conquistata spesso al prezzo di furibonde liti.
Una piccola parentesi che faccio presente a tutti quelli che si apprestano ad acquistare un cucciolo e non conoscono la razza: la naturale predisposizione del Bloodhound a creare una scala gerarchica o muta, in mancanza di consimili avviene anche in famiglia con gli esseri umani. E’ quindi necessario nel primo anno di convivenza far capire al nostro dolce ma caparbio cucciolo chi comanda e non lasciargli conquistare posizioni per lui significativamente privilegianti vedi il nostro letto, il nostro posto sul divano o peggio il cibo sul nostro tavolo.
Datemi retta fatelo e in modo energico!!! Ritornando alla caccia devo sfatare un mito comune tra i cacciatori: il Bloodhound è un cane lento. Probabilmente il fatto di essere un cane di grandi dimensioni che raramente si vede soprattutto a caccia alimenta questa credenza. E’ un cane veloce come gli altri segugi e il fatto di avere le zampe lunghe il doppio della maggioranza degli altri cani lo aiuta notevolmente. E’ la ragione per cui nell’ippica si fanno correre i purosangue e non i pony. Se vogliamo trovare un difetto difficile da togliere a questa razza nell’azione venatoria è la loro cocciuta predilezione per la seguita ai caprioli e ai cervi, specie in Italia non cacciabili col cane, piuttosto che al cinghiale. Vi assicuro però che con cani ben dressati una cacciata con questi segugi è paragonabile per un cacciatore alla Prima della Scala.
Dorina Serale & Roberto Fanchini